Pubblicato da: Salvatore Rao | 30 aprile 2009

Rom: i campi non sono la soluzione

Oggi in Prefettura ci siamo incontrati, con i rappresentanti delle Forze dell’Ordine, del Comune e della Regione, per il tavolo sull’ordine e la sicurezza. Io ribadisco che i campi non sono la soluzione. Senza una progettualità più ampia qualsiasi intervnto è destinato a fallire. Nai campi non è possibile un percorso di inserimento e di inclusione. Tanto più che quando parliamo di Rom presenti sul territorio da venti o trent’anni, i cui figli sono nati qui, non parliamo più di nomadi ma di stanziali. Servono maggiore volontà politica e maggiori investimenti da parte delle amministrazioni per attuare soluzioni basate sull’autonomia della persona e non sull’assistenza. Faccio solo un esempio: il Dado di Settimo, una struttura residenziale auto recuperata da otto famiglie Rom, un successo di integrazione sociale.


Risposte

  1. Molti rom preferiscono vivere in un campo nomadi perché non ci sono molte spese. Infatti, anche a Settimo, il progetto prevede la permanenza delle famiglie per 2 anni, finché non troveranno qualcosa di stabile. Senza lavoro e soldi, probabilmente torneranno in un campo.

  2. Probabile che molti Rom preferiscano stare in un campo. Non tanto per la diminuzione delle spese, credo, quanto piuttosto per continuare a vivere con la propria “comunità – famiglia allargata”, elemento culturale fondante per loro.
    Il Dado di Settimo dimostra però che, se ben accompagnati nel percorso “emersione, riconoscimento sociale, integrazione”, si ottengono ottimi risultati.
    Esempio lampante è la prima famiglia Rom che, dopo aver passato qualche mese al Dado, si è oramai autonomizzata sia dal punto di vista lavorativo che abitativo, come qualsiasi altro cittadino.
    Certo è solo la prima esperienza di questo tipo, ma credo possa già essere annoverata tra quelle che vengono definite le “buone prassi” su questo tema.

  3. Nella Circoscrizione 5, soprattutto nell’area delle Vallette, è già in atto una sperimentazione per inserire famiglie nomadi all’interno delle case popolari ma questa iniziativa non ha portato ai frutti sperati. Anche l’inserimento dei bambini Rom nelle scuole della Circoscrizione 5 si risolve quasi sempre con una bocciatura dei piccoli, che non frequentano nemmeno il numero minimo di giorni per essere ammessi alla classe successiva. Penso anch’io che la soluzione dei grandi campi non sia per nulla efficace e anche la convivenza forzata nelle case popolari è molto difficoltosa. Bisogna sperimentare nuove soluzioni, magari coordinate proprio dalla Provincia.

  4. Sperimentare, uscire dalla logica assistenziale, investire su un accompagnamento sociale e sulle capacitazioni che le persone possono mettere in campo. Uscire dalla logica dei campi nomadi: i rom presenti (Sinti o rom romeni o della ex jugoslavia) sono presenti nei nostri territori da alcuni decenni, non si può più parlare, se non per poche centinaia di presenze, di nomadi – ma bensi di persone stanziali- famiglie i cui figli sono nati e cresciuti in Italia. Il numero delle presenze si aggirano sui 4 mila nella provincia – Torino compresa-, divisi in parti uguali tra Sinti e Rom, i minori sono circa 500. Uno dei problemi presenti è appunto la scarsa partecipazione al percorso formativo, che spesso si arresta, specie per le bambine, senza conseguire il diploma della scuola dell’obbligo, sono solo due i minori inseriti negli istituti scolastici superiori e uno solo frequenta l’università. Quindi investire sui minori, incentivare facilitare la frequenza alla scuola consentire l’assolvimento scolastico e fornire una formazione adeguata è condizione necessaria affinchè si possano avviare nel futuro percorsi di integrazione e inserimento lavorativo.
    L’esperienze dell’autorecupero, autocostruzione, inserimento nelle case popolari, piccole aree attrezzate, per un’accoglienza della loro famiglia allargata, senza un’accompagnamento sociale nel tempo, sia da parte delle associazioni di volontariato, ma anche e soprattutto, dei nostri servizi sociali; un modello dell’abitare che possa consentire di mantenere le loro usanze e modelli culturali comunitari, riconoscere i loro diritti, ma certamente richiamarli anche ai loro doveri, sono alcune delle linee che dobbiamo seguire per consentire una convivenza tra diverse culture che si confrontano e cercano di arricchirsi a loro volta.


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