Pubblicato da: Salvatore Rao | 23 Maggio 2013

Ivrea -Città Laboratorio sociale

 

 Ivrea  Città Laboratorio Sociale: per un nuovo sviluppo di Comunità

Occorre spirito utopico, credere nell’utopia per andare oltre.

Per uscire da questa crisi che non è solo economica, ma anche sociale, culturale e valoriale, occorre anche aprire Cantieri sociali, se vogliamo ricostruire e sviluppare un lavoro di ricerca – azione,  di  approfondimento, per  conoscere meglio le varie vie e terapie che si stanno esplorando, le diverse soluzioni che sono in campo e che si confrontano.

Con la crisi la ricchezza si è ulteriormente concentrata, le diseguaglianze sono ancora cresciute, la povertà si è estesa, ai giovani è scippato il loro futuro, la disoccupazione, specie giovanile, ha raggiunto indici che mai abbiamo conosciuto.

Si aggravano le condizioni di vita e di salute per una fascia estesa della nostra popolazione, ma contemporaneamente si riducono drasticamente le risorse destinate al sistema dei servizi sociali; poiché, da tempo, vi è un orientamento politico che vuole scardinare il modello di Welfare che avevamo costruito nel secolo scorso.

Una crisi non solo dettata dal taglio delle risorse, poiché è accentuata da un pensiero culturale e politico, che ha scavato solchi e prodotto fratture, rimettendo in discussione il carattere universalistico dei servizi. Il Welfare è sempre più considerato solo un costo, non investimento e infrastruttura necessaria allo sviluppo locale, un sistema chiamato a sorreggere, sostenere e supportare le persone e assicurare livelli di convivenza e ben – essere.

Siamo i primi ad affermare che occorre riformare, innovare, rivisitare quel sistema, metterci mano è urgente, ma non per fare cassa ma perché ormai inadeguato.

La condizione di precarietà, nonché, la vulnerabilità caratterizza questo nostro tempo; la disoccupazione giovanile, la povertà estesa, la condizione di cronicità o di non autosufficienza, sono il vissuto di milioni di persone e famiglie.

Il “prendersi cura”  di queste persone richiede forme più efficaci di aiuto e sviluppo umano e sociale.

Non possiamo certo affermare che nella nostra società viene meno lo spirito e l’agire la solidarietà, anzi questa cresce, ma è lasciata alla libera iniziativa del singolo o delle organizzazioni caritatevoli, viene meno l’impegno e l’assunzione di responsabilità da parte del sistema pubblico, chiamato a fare l’impossibile per rimuovere gli ostacoli che impediscono alla persona una sua piena inclusione e partecipazione.

Un sistema di welfare non può esistere se non vi sono risorse pubbliche adeguate con operatori professionali adeguatamente formati.

Lo sviluppo di Comunità,  non può essere certamente la panacea di tutti i mali e consentirci di ricostruire un nuovo modello capace di dare risposte, fiducia e speranza alle persone, specie per coloro che si trovano a vivere condizioni difficili a rischio di esclusione ed emarginazione.

Ma è certamente un modello che ci consente di andare oltre, oltre agli attuali modelli organizzativi e di responsabilità, di andare oltre alle singole prestazioni e misure finora adottate, oltre agli attuali ruoli e funzioni degli operatori, di andare oltre le collaborazioni e il lavoro di rete.

Poiché chiama in causa la Comunità tutta, le sue risorse, quelle anche non ancora attivate, agisce sulle capacità delle persone, su un’idea di alleanze, sulla compartecipazione,  un lavoro interprofessionale, responsabilità plurime e condivise; chiama in causa il sistema economico e finanziario, rendendo tutti, anche i beneficiari responsabili del cambiamento.

Ma lo sviluppo di comunità necessita di uno sviluppo dei processi partecipativi, per contribuire e influenzare le scelte e le decisioni  dei decisori; di un agire la partecipazione per rafforzare la cittadinanza attiva, lo sviluppo di un sistema integrato, avendo come obiettivo comune la crescita del capitale sociale, il coinvolgimento attivo e responsabile dei cittadini organizzati e non, dei vari soggetti  e attori locali.

Come promuovere e sperimentare affinchè questi servizi siano riconosciuti “Beni Comuni”, non mercificabili?

Riprendersi il ruolo, da parte degli operatori sociali, come Agente di cambiamento, rivedere le scelte organizzative, farsi soglia, confrontarsi con il desiderio (istanza di cambiamento) – far diventare problema sociale la domanda individuale.

I servizi hanno perso l’essere esperienza collettiva, poiché c’è un fare individuale.

Occorre costruire altre Memorie e altre Storie, questo comporta una forte disponibilità a lavorare insieme, nelle reti ma con nuove alleanze, con altre professioni.

Costruire Altre Storie con altre soggettività, questo ci obbliga ad essere più itineranti e sostare nei luoghi, essere dentro i processi e le sperimentazioni locali.

Lo sviluppo di comunità è anche un percorso di uscita dalla propria storia e memoria.

L’incontro con l’altro, far posto all’altro,richiede più prossimità e un marcato senso di responsabilità, L’Alterità deve poter vivere dentro di noi.

Avremo quindi bisogno di operatori dedicati e formati, per promuovere lo sviluppo di comunità nel territorio,  per tessere, intrecciare, ricostruire e rafforzare relazioni e legami sociali.

Sapendo che il futuro non si gioca sul futuro dei servizi ma sul futuro delle persone!

Avendo consapevolezza che, quello che riusciremo a fare, non è solo per il qui e ora, ma ha un valore oltre il presente, non soltanto per Giovanni e Rosetta, ma per affermare diritti di cittadinanza, un’idea di società, il cui esito probabilmente non lo vedremo noi ma altri, i nostri figli.

Crediamo che sia un cammino faticoso, ma anche meritevole e affascinante, avviamoci con il giusto passo, tornerà la primavera!


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